L’Orto della Regina

Orto della Regina

 ➡ il sito

L’ Orto della regina è una struttura in opera poligonale. Si trova a 928 metri s.l.m. circa, sul punto più alto della catena La Serra (tav. 7) distinto nella cartografia I.G.M. come Monte La Frascara[1] e nella cartografia storica come Monte Cortinelle (tav. V)[2]. L’area è una delle più suggestive della Campania Settentrionale:  la sua importanza strategica è dovuta all’eccezionale dominio ottico su un vastissimo territorio dove, come si è visto, si sono sviluppate da secoli fondamentali vie di comunicazione (fig. 5).

Fitti castagneti creano attualmente un paesaggio spettacolare, soprattutto a contrasto con le cime rocciose, l’altrettanto rigogliosa macchia mediterranea e le leccete dei monti calcarei che circondano il rilievo vulcanico (vedi app. fotografica).

Sul sito è mancato negli anni un dibattito approfondito dal punto di vista della ricerca archeologica: la scarsità della documentazione e l’assenza di scavi sistematici volte a chiarirne lo sviluppo topografico impongono la massima prudenza nella sua valutazione, tuttavia non impediscono di formulare alcune ipotesi interpretative. Nell’ambito di un approccio metodologico teso soprattutto ad una valutazione delle evidenze archeologiche, come dichiarato nell’introduzione a questo volume, la mia attenzione è stata concentrata sulla possibile funzione che esso doveva avere in rapporto alle dinamiche insediative proprie del territorio di confine a nord di Capua.

Ovviamente, in un procedimento di questo genere, i dati storici che possono essere considerati acquisiti sono trattati solo nella misura in cui contribuiscono ad illuminare gli eventi ed i processi che li caratterizzano.

Cartografia I.G.M., tav. Suio, F. 171, particolare con l’indicazione di M. la Frascara e M. S. Croce

Tav. 7 Cartografia I.G.M., tav. Suio, F. 171, particolare con l’indicazione di M. la Frascara e M. S. Croce

foto aerea

Fig. 5  Foto aerea del complesso vulcanico del Roccamonfina (la freccia indica il Monte La Frascara)

Realizzato in modo da contornare la sommità della vetta, anche se non la più alta del Monte La Frascara, il recinto presenta grossi blocchi di trachite dalle dimensioni varie ed include in più tratti grosse sporgenze di roccia alte fino a 3 m. circa[3].

Il suo andamento ha la forma di un poligono irregolare (fig. 6). La lunghezza massima interna è di 71 m., la larghezza di 35 m., il perimetro esterno si sviluppa per 180 m. ca. racchiudendo un’area di poco inferiore ai 2500 mq. Il muro è costituito da blocchi a secco di forma parallelepipeda o poligonale, accuratamente portata ad incastro con i giunti contigui, soprapposti senza malta, con gli interstizi riempiti di più piccole scaglie per lo più ricavate dai blocchi cavati o lavorati sul posto (figg. 7-8). La cortina è rincalzata al suo interno da filari di grosse pietre, sbozzate sommariamente e di dimensioni inferiori rispetto a quelle esterne. L’unico ingresso si colloca a Sud-Est. La porta è larga ca. m. 4, dà su un corridoio leggermente in salita, tra il lato meridionale della cinta ed una rientranza dal lato orientale che forma un bastione alto 3 m. e lungo 10, 40 m.

La struttura è stata realizzata seguendo un percorso adatto alla formazione orografica della stessa, è abbastanza ben conservata, sebbene in alcuni punti del tracciato si siano verificati crolli e aperti varchi di usura per la spinta delle radici degli alberi di castagno.

Il lato meglio mantenuto è quello occidentale (fig. 7), che si estende per un’altezza di circa 4 m.

Qui i primi blocchi di fondazione si appoggiano sullo strato di roccia vulcanica a meno di 1 m. di profondità dall’attuale piano di calpestio. Sul versante orientale la cinta (fig. 9) si conserva per un’altezza media di 2,50 m. e scende con la fondazione a quasi 2 m. di profondità nello strato di roccia vulcanica.

pianta passaro

Fig. 6 Orto della Regina: pianta (da Passaro 1990)

particolare versante occidentale

Fig. 7 Orto della Regina, particolare del versante occidentale.

particolare versante orientale

Fig. 8 Orto della Regina, particolare del versante orientale

particolare dei blocchi caduti

Fig. 9 Orto della Regina, particolare dei blocchi crollati nei pressi del corridoio d’ingresso

 

Le uniche indagini della Soprintendenza archeologica hanno interessato un settore limitato del sito e sono state eseguite in concomitanza con i lavori di pulizia generale e disboscamento parziale della zona per la realizzazione di una passeggiata ambientale. Durante l’esplorazione è stato effettuato un saggio di scavo a circa 40 m. a nord dell’ingresso, che ha messo in luce un allineamento verticale di blocchi interpretato da Colonna Passaro come punto d’incontro di maestranze avanzanti da direzioni opposte o disposizione per la creazione di un postierla poi non realizzata. Nelle ricognizioni di superficie sono stati rinvenuti diversi frammenti di tegole su un battuto pavimentale all’altezza del corridoio d’ingresso (fig. 9), che consentono di ipotizzare l’esistenza, al di sopra dei blocchi di trachite, di palizzate con tettoia di copertura a tegole.

La struttura è stata datata tra il IV ed il III  secolo a.C., collegata alla presenza dei Sanniti intorno al Roccamonfina e considerata sostanzialmente come parte di un sistema di attrezzature difensive costituito da osservatori militari a difesa di centri maggiori[4].

In effetti, i pochi dati noti potrebbero non risultare sufficienti a classificare l’Orto della Regina in termini così definitivi. In mancanza di altre tracce materiali certe e qualificanti, è forse possibile cercare un orientamento nuovo a partire dalla considerazione di ulteriori aspetti significativi: in particolare, la collocazione del sito rispetto ad un territorio che la tradizione storica e le recenti indagini archeologiche consentono di definire densamente popolato dagli Aurunci a partire da un periodo senz’altro anteriore alla metà del IV secolo a.C.[5]; il richiamo ai contesti storici che lo hanno interessato; il confronto con opere simili e per le quali si dispone di dati più completi; la valutazione di ciò che gli storici locali hanno sporadicamente registrato tra il XVIII ed il XX secolo. Attraverso la comparazione di questi elementi si può giungere ad alcune osservazioni, utili a comprendere l’origine della costruzione e la sua possibile funzione in relazione al territorio a nord di Capua.

 ➡ Proposta interpretativa

 Nella ricerca di riscontri tipologici tra il recinto del Monte Frascara e quelli dell’ Italia interna centro-meridionale un confronto interessante è costituito dalle cinte fortificate pre-romane del Monte Cesima[6], che presidiavano la zona montana dominando le piane vicine di Presenzano e Pietramelara.

Tali strutture erano realizzate utilizzando per lo più materiale lapideo ricavato in loco attraverso la riduzione o lo spianamento delle formazioni rocciose originarie, per ottenere enormi blocchi a formare poderose mura rastremate.

Possibili comparazioni, ma in contesti di maggiore monumentalità, sono inoltre costituite  dalle strutture presenti nei circuiti di Trebula Balliensis[7] e della pianura pontina[8]. Più in particolare, la posizione rispetto alla vallata sottostante, verso cui si proietta l’ampio spazio di fronte, pone il recinto di Monte La Frascara in stretto rapporto con gli insediamenti di Minturnae e Vescia[9]. L’ipotesi più probabile, dunque, è che facesse sistema con l’area medio-collinare digradante in terrazzamenti verso la piana del Garigliano e l’agro sessano, in un’organizzazione territoriale ben precisa, conformata sul binomio aggregazioni d’altura-piccolo insediamento, con un possibile luogo di culto istallato sul versante orientale, presso il Monte S. Croce (fig. 10)[10], dove si conservano alcune strutture in opera poligonale[11], oggi in parte riutilizzate nei terrazzamenti per la coltivazione dei castagni, e dov’ è attestato lo sviluppo del primo santuario cristiano di Roccamonfina associato allo svolgimento di una fiera[12].

rilevamento aerofotografico

Fig. 10 Il territorio di Roccamonfina. Rilevamento aereofotografico (Google Earth).

L’immagine contiene l’indicazione del Monte La Frascara e Monte Santa Croce.

Il modello noto tra le forme di popolamento italico in aree appenniniche[13], in effetti, potrebbe qui essersi definito in condizioni più favorevoli ad una forma di sviluppo metropolitano, conservando la vitalità diacronica della sua funzionalità con la fondazione della colonia latina di Suessa[14].

Nel processo di formazione di tale nucleo insediativo, oltre alla preponderante finalità tattica dovette svolgere un ruolo tutt’altro che secondario anche la naturale vocazione viaria dell’area.

Un’indicazione archeologica a favore di quest’ ipotesi può venire dalla ricostruzione delle comunicazioni che, come si è visto, da Sessa Aurunca, attraverso alcuni diverticoli (fig. 4), conducevano alle zone d’altura, seguendo la dorsale della collina con un’ottima prospettiva della pianura sottostante. I percorsi, in alcuni tratti individuati da N. Conta Haller[15], erano ancora perfettamente visibile agli eruditi locali del XVIII secolo, che ne riportano notizie dettagliate (“…tali avanzi sono visibili nella 1° nella contrada detta “Sferracavalli”; 2° presso il villaggio Ponte, dove la via scompare sotto l’attuale strada rotabile; 3° lungo il passo che per la sua caratteristica struttura e posizione vien distinto col nome “Le Forche”. Ivi si biforca e, mentre un ramo prosegue per l’attuale Roccamonfina, congiungendosi con la “Via Latina” passando per la contrada “Pennitella” e segnatamente al punto dove scorre l’acqua detta “Bogliarella”, l’altro prosegue verso sinistra in direzione di Monte Frascara…”)[16].

Il tracciato corre in direzione nord-ovest: da Suessa giunge al valico delle Forche e, nei punti in cui è possibile attualmente seguirlo anche attraverso i tratti ripresi in epoca borbonica, è più o meno perpendicolare ai terrazzamenti che si proiettano verso la piana del Garigliano, lungo i quali si è riscontrata la presenza di alcuni significativi insediamenti rustici e ville databili tra il II sec. a.C. ed il V sec. a.C. [17].

Lo stretto legame esistente fra strade e a porzioni di territorio razionalmente organizzato in questo punto della Campania settentrionale viene efficacemente registrato nella tradizione storica romana confluita in un noto passo di Livio in cui è narrata la capitolazione finale degli Aurunci: “Ausona et Minturnae et Vescia urbes erant ex quibus principes juventutis duodecim numero in proditionem urbi suarum coniurati ad consules veniunt[18].

Muovendo dalla zona di Piscinola-Anticoli, in quest’occasione Ausona, Minturae e Vescia si sarebbero venute a trovare verosimilmente ad una distanza analoga[19], tale da favorire un’azione che si sarebbe potuta svolgere facilmente eodem tempore circa tria oppida (simultaneamente e da tre città colonne), in virtù di uno stesso piano strategico (eodem consilio….; tria oppida, occupata eadem hora). Siamo nel 314 a.C. e si parla di dodici principes: dunque, la fonte attesta l’esistenza di una società politicamente gerarchica e la presenza di magistrati preposti ad amministrare parti di territorio pianificato in porzioni direttamente connesse tra loro. In quest’ottica, mi sembra che l’uso del termine urbes, al posto di vici o pagi, individui una realtà territoriale urbanistica e che a questa sia da ricondurre l’affermazione di una qualche forma di organizzazione statale a cui far corrispondere un’identità territoriale differente da quella strutturata sul policentrismo di villaggi registrata per esempio nell’area compresa tra la valle del Liri e l’alto Volturno[20] durante lo scontro romano-sannita del IV-III secolo a.C. [21]. Lo storico Tito Livio fornisce un’ indicazione ulteriore, informandoci anche del fatto che l’ Ausona distrutta dai Romani[22] è la stessa città dalla quale gli abitanti erano fuggiti nel 337 a.C. per l’invasione dei Sidicini posti a controllo della stretta di Torricelle[23]. Ora, visto che in tutti i punti della narrazione le tre urbes a cui si fa riferimento sono definite anche oppida, doveva esistere, in un perimetro topografico ben circoscritto, un’organizzazione territoriale dotata di centri urbanisticamente strutturati che disponevano di un luogo fortificato come punto cardine e di controllo.

Questo è quanto mai utile per capire cos’era l’Orto della Regina in antico. Se le valutazioni proposte fin qui cogliessero nel vero, infatti, sarebbe ipotizzabile l’esistenza di un insediamento aurunco a partire dalla catena della Serra[24] con uno sviluppo attraverso i terrazzamenti medio-collinari, con ogni probabilità perfettamente integrato nel sistema di sfruttamento del territorio dell’ager suessanus durante e dopo la guerra Latina (340-338 a.C.), quando i nuovi modi di produzione agricola e di popolamento del territorio convissero senz’altro con quelli preesistenti così come accade altrove in Campania settentrionale[25]. L’unificazione di questa articolata compagine, naturalmente, deve essere percepita come il frutto di uno sviluppo diacronico, di cui sono distinguibili appena le dinamiche, che porterà in epoca imperiale alla determinazione di una dimensione statale e all’affermazione di quelle grandi proprietà agrarie alle pendici del Roccamonfina di cui oggi sono ricostruibili le evidenze archeologiche[26].

La presenza di un’urbs e di un oppidum Auruncorum a partire dall’Orto della Regina potrebbe assumere, così, un duplice significato: da un lato valorizzerebbe i legami strutturali esistenti tra i nuclei abitativi costieri aurunci e quelli dell’ entroterra, in un’ottica metropolitana, dall’altro esprimerebbe, risolvendola anche su base etnica, la tensione conflittuale in questa zona della Campania Settentrionale tra Aurunci e Sidicini. Del resto, l’attacco dei Sidicini del 337 a.C. ed  il successo eclatante da parte dell’esercito romano, così come narrati da Livio[27], si spiegano soprattutto con un’Ausona posta in un punto strategico come quello del Monte La Frascara ed i suoi terrazzamenti digradanti a valle. La notizia dello storico romano fornisce una prova consistente della coesione politica e territoriale caratterizzante gli insediamenti ausoni delle chora coloniale[28] prima delle romanizzazione e l’Orto della Regina doveva esserne parte fondamentale.

 ➡ Il toponimo

Lo scavo archeologico consentirebbe di ipotizzare qualcosa in più sul toponimo associato alla struttura del Monte Frascara.

Nel termine orto, per esempio, è suggestivo il richiamo al nome dei luoghi sacri italici, così come nell’attributo Regina si potrebbe riconoscere un possibile legame esistente con una figura divina dotata di qualità regali topograficamente correlabile con la cinta[29].

A questo aspetto ed alla possibile istallazione di un tempio dedicato in particolare a Mefites sul Monte La Frascara ha dedicato un interessante studio degli anni Ottanta del secolo scorso, riprendendo alcune supposizioni avanzate da Abeken, Nissen e Maiuri, ma con argomentazioni che, in assenza totale di materiali archeologici pertinenti, mio malgrado è tuttavia difficile sviluppare. Di certo, l’interpretazione dell’ orto come recinto sacro si spiegherebbe solo nel caso  in cui si accetti l’esistenza di un tempio all’interno nella cinta. Ma questa andrebbe meglio indagata: è facile cedere alle suggestioni che portano ad associare il culto mariano del vicino colle della Madonna dei Lattani al culto pagano di una divinità femminile delle acque; allo stesso modo, è seducente l’ipotesi di uno stesso culto sviluppatosi intorno al Monte Tifata in coppia con Giove. Tuttavia, una verifica di una tale ricostruzione dei fatti deve necessariamente passare per le evidenze archeologiche, che ad oggi mancano.

Un altro dato di complessa interpretazione in questo senso, sopratutto per la distanza considerevole della località in cui è stato rinvenuto rispetto all’area del recinto di Monte Frascara (fig. 11), è un frammento posto all’interno di un cunicolo di captazione romana; questo reca l’iscrizione …]MIFINEIS[…, conserva uno strato linguistico sabellico[30], è databile dopo la metà del III secolo a.C. e, piuttosto che ad un  teonimo, com’è stato supposto[31], è forse riferibile ad punto di confine orientale tra il territorio aurunco e quello d’influenza sidicina,   “quel popolo incuneato tra Aurunci ed Ausoni in Cales […] la cui capitale Teano apparteneva ai Sidicini, i quali sono Osci ed un avanzo della nazione dei Campani” (Strabone).

blocco tufo con iscrizione

Fig. 11 Blocco di tufo con l’iscrizione MIFINEIS rinvenuto in loc. La Surienza di Roccamonfina

Quanto alla cronologia della recinto fortificato, infine, è possibile porre alcune linee di discussione.

In particolare, la mancanza di materiali ai livelli indagati, più che costituire la prova di un frequentazione dell’area limitata ad esigenze specifiche, potrebbe essere l’indizio di un abbandono organizzato e graduale delle aree di altura del Roccamonfina. Se così fosse, si potrebbe supporre che esso abbia conservato la sua funzione non oltre l’ultimo quarto del IV sec. a.C., fase a cui Livio, come si è visto, attribuisce l’esodo degli Aurunci dalle terre possedute (…fama adfertur Auruncos metu oppidum deseruisse profugosque cum coniugibus ac liberis Suessam communisse, quae nunc Aurunca appellata, moenia antiqua eorum urbemque a Sidicinis deletam ”)[32] e a cui corrisponde il progressivo definirsi degli assetti produttivi dell’area di media-collina a nord-est di Suessa. Non è un caso, del resto, che la tradizione storica non riporti notizie di Ausona proprio dal 314 a.C. in poi.

Estratto dal volume “Roccamonfina, Archeologia e storia di un territorio dagli Ausoni ai Briganti” di Emilia Prata

💡 approfondimento sul volume

 

*Il presente contributo riprende ed amplia quello presentato in occasione del Convegno scientifico Isti (Aurunci) graece Ausones nominantur, svoltosi il 10 MAGGIO 2009 presso il Salone dei Quadri del Palazzo di Città di Sessa Aurunca (Ce).

[1] I.G.M., tav. Suio, F. 171.

[2] Cfr., in particolare, Rizzi Zannoni 1787 e ARN, fol. 10.

[3] Per la descrizione puntuale dei dati strutturali del recinto, cfr. Passaro 1990, pp. 28-29.

[4] Passaro 1990, pp. 29-30.

[5] Ael., Var. Hist., IX, 16. Per le attestazioni storiche ed archeologiche sugli Ausoni/Aurunci in Campania, fondamentale Cerchiai 1995, pp. 21 sgg.

[6] Caiazza 2002, in particolare pp. 39 sgg., con bibliografia precedente.

[7] Cera 1997.

[8] Quilici-Gigli Quilici 2000, pp. 195 sgg.; per i tipi di fortificazioni montane databili tra il IV ed il III secolo a.C., fondamentale inoltre Conta-Haller 1978, pp. 87-88 e Oakley 1995, pp. 135-138.

[9] L’ubicazione di Vescia pone questioni ulteriori: per le prime indicazioni su un possibile nucleo aurunco nella zona pianeggiante ad est della Catena del Massico, cfr. Tommasino 1946, pp. 196 sgg. e cart. topograf. III; sulle evidenze archeologiche dell’agro vescino e falerno, ora Crimaco 2002.

[10] Perrotta 1737, pp. 83 sgg.: lo storico descrive sul Monte S. Croce “fondamenta di case, angoli di stanze, tre grandi cisterne, strade selciate, scaglioni seppelliti sotto i gradoni di una scala santa che menava alla chiesa di S. Croce, fabbricata prima del Mille sulla vetta del Monte Fino…”

[11] Tommasino 1942, tav. XVIII a-b

[12] Tabellario 1948, p. 28.

[13] Per la bibliografia sulle forme e sulle dinamiche insediative dell’Italia centro-meridionale, cfr. Barker 1995, I, pp. 347-373; Migliaro 1995, pp. 117 sgg.; per una revisione critica del modello paganico-vicano applicato ai territori in maniera eccessivamente generalizzata, Caporossi Colognesi 2002, pp. 170-192, 252 sgg.

[14] Liber Coloniarum, I, 235; Livio, IX, 38, 7; cfr., inoltre, Lepore 1989, pp. 57 sgg.

[15] Conta-Haller 1978, p. 53.

[16] Cfr. Perrotta 1737, p. 59; Tabellario 1948, p. 23, n. 1 e p. 24.

[17] Proietti 2002.

[18] Liv., IX, 25, 4 sgg.

[19] Cfr. Tommasino 1942, pp. 183-84 e cart.  topograf. I e II.

[20] Cfr., tra gli altri, Salmon 1985, pp. 202-296 e Capini 2000, pp. 255-256.

[21] Tutta la storia  della Regione della seconda metà del IV secolo a.C., com’è noto, si impernia sulla lotta tra Campani e Sanniti per il controllo della pianura a partire dalla città di Capua (cfr. Cerchiai 1995, in particolare pp. 195 sgg.).

[22] Liv., IX, 25, 2.

[23] Ibid., VIII, 15.

[24] L’ipotesi era stata avanzata con argomentazioni diverse da G. Tommasino e F. Tabellario (Tommasino 1941, pp. 231-240, tav. XIX a-b, cart.  topograf.  IV; Tabellario 1948, pp. 24-28).

[25] Vedi supra. Per una completa panoramica sul sistema insediativo e produttivo della Campania settentrionale tra la fine del IV e il I secolo a.C., inoltre, cfr. Crimaco 2002, pp. 59 sgg.; fondamentale anche Arthur 1982 e 1991, pp. 120 sgg. e Colletta 1989, pp. 17-19.

[26] Cfr. Proietti 2002.

[27] Supra, nn. 25 e 26.

[28] Per la definizione della piana del Garigliano come chora coloniale, distinta dalla regione degli Opici “intorno al Cratere”, Cerchiai 1995, pp. 24-25.

[29] cfr. Caiazza 1990, pp. 12 sgg. La bibliografia è ampia sul culto di Mefitis in ambito italico. : cfr., in particolare, Pocetti 1982 e, più recentemente, Calisti 2006.

[30] Pocetti 1981.

[31] Caiazza 1990, p. 10.

[32] Livio, VIII, 15, 4-5 (…fama adfertur Auruncos metu oppidum deseruisse profugosque cum coniugibus ac liberis Suessam communisse, quae nunc Aurunca appellata, moenia antiqua eorum urbemque a Sidicinis deletam ).

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